La Mia Storia

Qualcosa di più su di me

Ciao!


Ho scritto questa biografia per un motivo preciso. Quale?

Semplice: fare in modo che io non sia solo un altro nome sullo schermo del tuo computer o cellulare, ma che tu possa conoscermi davvero e capire perché posso aiutare te e tuo figlio.


Dopotutto, non posso aspettarmi che tu segua i miei consigli se nemmeno sai chi sono, giusto?

Sarebbe come se un estraneo ti fermasse per strada e ti chiedesse le chiavi di casa tua — "Grazie, ma no grazie!".


Proprio per questo voglio condividere con te la mia storia, così che tu possa capire chi sono, perché faccio quello che faccio e, soprattutto, come posso esserti utile.


Alla fine, sarai libero di decidere se sono la fonte affidabile di informazioni ed aiuto di cui hai bisogno.


Iniziamo dal perché....

Io seduta alla scrivania con in mano una penna. Sono rivolta verso il lettore e ho un sorriso sul volto

Perché lo faccio?

Perché sento di aver accumulato parecchia esperienza sul campo e ho intenzione di mettere a disposizione tua e di tuo figlio diverse strategie che potrebbero davvero cambiare il suo percorso scolastico e le vostre vite.


Ho tutta l'intenzione di fare del mio meglio in modo che tuo figlio tragga davvero beneficio dalle mie strategie, le impari e, soprattutto, cosa molto più importante...


Le metta in pratica!

Il mio percorso nell'apprendimento

È difficile individuare un vero e proprio inizio nel mio percorso di apprendimento. Si potrebbe dire che tutto inizi il primo giorno di scuola… o magari all’asilo… o ancora prima, a casa, quando impariamo a conoscere il mondo attorno a noi.


Se volessimo essere precisi, potremmo dire che l’apprendimento comincia dal giorno in cui nasciamo… forse anche prima! Ma, per comodità, facciamo partire questa storia dalle superiori.


Perché proprio le superiori?


Perché è il primo vero step in cui non sei più visto come un ragazzino, ma come un "quasi adulto". Le richieste aumentano, i risultati iniziano a contare davvero e, se non sai come gestire tutto, il peso delle aspettative diventa soffocante.


E come le ho gestite io?

Bene… e male.

Fin da subito ho capito che dovevo organizzarmi.

Con tre allenamenti e due partite di pallavolo a settimana, se volevo continuare ad andare bene a scuola, il tempo per studiare doveva essere gestito al secondo.

Saltare un allenamento per studiare? Non era ben visto dagli allenatori, quindi era un’opzione da usare con cautela.


Così ho iniziato a pianificare:

  • Quanto tempo mi serviva per studiare la teoria?
  • Quanto per gli esercizi pratici?
  • Quali giorni potevo sfruttare al massimo e quali invece dovevo chiudere i libri prima per la pallavolo?
  • Quando potevo concedermi un giorno di pausa?

Non mi era concesso sbagliare

Avevo costruito una routine così solida che ormai era un meccanismo automatico.


Bello...però...Ricordo ancora quel giorno in quarta superiore: il professore ci disse che quella settimana non avrebbe interrogato. Perfetto! Sapevo che il lunedì successivo avevo una verifica di un'altra materia, chimica fisica, quindi ho usato quel tempo per prepararmi al meglio.


Peccato che il prof si fosse dimenticato di ciò che aveva detto.

Decise di interrogare comunque. E il caso volle che pescasse proprio il mio numero.


Panico e frustrazione hanno preso il sopravvento in un secondo, non ero preparata, cosa potevo fare?


Mi sono alzata dal banco con il cuore che batteva all’impazzata e ho percorso quei pochi metri fino alla cattedra come se avessi una palla da carcerato al piede. Stringevo il quaderno tra le mani, sentivo il suo peso…l’avevo portato con la flebile speranza di riuscire a cogliere al volo qualche informazione utile.
Ma non è servito a nulla. L’interrogazione è andata male.


Ma la parte peggiore non fu il voto.


Fu il commento del professore mentre tornavo al mio posto:
"Monica, ora non è che perchè sei andata bene lo scorso anno allora ti puoi sedere sugli allori!"


Quelle parole mi hanno colpita più di qualsiasi insufficienza. Ancora una volta, un mio momento di difficoltà era stato il pretesto per umiliarmi davanti a tutti.

In quel momento ho deciso una cosa: non mi sarei mai più fatta trovare impreparata.


Da quel giorno, lo studio è diventato una sfida per dimostrare ai professori che ero in grado di ottenere sempre il massimo. Il vero obiettivo, imparare, era stato sostituito da un'ossessione per il voto.

L'importanza (distorta) del voto

Fin da piccola ho sempre dato il massimo per ottenere i risultati che volevo. Ed i risultati che volevo erano voti alti.


Non solo perché ero ambiziosa di mio, ma anche perché volevo evitare come la peste gli errori, avevo paura di sbagliare.


Sbagliare a scuola, infatti, significava essere giudicata e raramente era un giudizio costruttivo…anzi mai.

Ricordo ancora in quinta elementare, quando una professoressa mi umiliò davanti a tutta la classe per una singola insufficienza, dopo mesi in cui la mia media era sempre stata tra distinto ed ottimo.


Quei momenti restano impressi. E ogni volta che accadevano, sgretolavano un pezzetto della mia sicurezza.


Alle superiori, questa paura mi ha portata a concentrarmi più sui voti che sull’apprendimento. Dovevo passare verifiche e interrogazioni. Non potevo permettermi errori.


Un’utopia, certo. Ma la perseguivo con tutte le mie energie.


Questa determinazione (più o meno sana) mi ha portata a diplomarmi come perito chimico e a iscrivermi al corso di laurea in Biologia all’Università degli Studi di Trieste.

Io in quinta superiore. Sono in piedi che sorrido a chi mi sta facendo la foto. Ho un completo giacca e pantalone bianchi e una canottiera elegante azzurra.

Lo studio ad un altro livello

Già dai primi giorni di università, mi è stato chiaro fin da subito che lo studio era salito di livello.


Alle superiori mi affidavo agli appunti presi in classe e ai libri. Per le materie scientifiche cercavo di capire e ragionare, mentre per quelle letterarie (che all’epoca consideravo meno importanti) puntavo più sulla memorizzazione, soprattutto per diritto e storia.
Quindi leggevo, cercavo di comprendere, mi sforzavo di trovare soluzioni da sola quando qualcosa non mi era chiaro. E per le materie più teoriche? Riassunti e ripetizioni infinite (a tal punto che, alla fine, anche i miei gatti avrebbero potuto sostenere un’interrogazione di diritto!).


Ma l’università è un’altra storia.

Qui il ragionamento è tutto: non potevo più permettermi di memorizzare nozioni su nozioni come facevo per diritto e storia.


Primo, perché la mole di studio era enorme e il tempo a disposizione non bastava.
Secondo, perché semplicemente… non funzionava.


Era lampante, infatti, la differenza tra ciò che ricordavo dalle superiori avendolo studiato ragionando e ciò che invece avevo semplicemente memorizzato.
Volendo sfruttare la visualizzazione, che aiuta a semplificare le informazioni, i concetti che avevo interiorizzato con il ragionamento erano ancora ben sistemati sugli scaffali del mio cervello, ordinati e facilmente accessibili.

Di quelli appresi solo attraverso la memorizzazione meccanica, invece? Rimaneva ben poco. Qualche foglio svolazzante qua e là, ma nulla di realmente utile.


L’università mi ha confermato quello che già avevo iniziato a intuire alle superiori:

La strategia di studio fa la differenza

Io durante la discussione della mia laurea magistrale. Sto parlando ad un microfono.

Così ho deciso di rimboccarmi le maniche e sperimentare nuove tecniche per rendere lo studio più efficace: schemi, immagini, tabelle, mappe, linee del tempo, diagrammi di flusso…


Ho provato di tutto.


Nel corso dei miei cinque anni di università (triennale e magistrale) ho affinato e selezionato i metodi migliori in base alla tipologia di nozioni da studiare.

A volte servivano due schemi diversi per lo stesso argomento, così da vederlo da più punti di vista.


In particolare, ho trovato nelle tabelle un grande alleato: perfette per confrontare concetti simili e far emergere le differenze, evitando di confonderli (errore comune quando si studia male).


E tutto questo lavoro ha portato i suoi frutti.


Non solo riuscivo a superare gli esami con successo, ma cresceva anche la sicurezza in me stessa.


Finalmente sentivo che stavo ritornando a studiare perché mi piaceva imparare, perché volevo...

Capire il Perché delle cose

La famosa bilancia di cui ti parlavo prima iniziava a riequilibrarsi: non studiavo più solo per dimostrare qualcosa agli altri, ma anche per il puro piacere di apprendere.


Non ero ancora riuscita a sbilanciarla completamente dalla parte giusta, quella del piacere per lo studio e l’apprendimento, per quello ci sarebbero voluti ancora degli anni.


Ma almeno, per la prima volta, non ero più intrappolata in un meccanismo che pendeva drasticamente verso il fare contenti gli altri ed evitare gli errori.

I primi anni di tutoraggio e la voglia di aiutare

Durante gli anni di università, però, è successa una cosa: ho iniziato a fare tutoraggio per ragazzi delle medie.

Volevo guadagnare qualche soldo, e questo mi sembrava il modo più semplice. Così, grazie a un’associazione del mio paese, ho avuto l’opportunità di affiancare alcuni ragazzi durante lo studio.


Ed è stato lì che mi sono resa conto di una cosa: mi piaceva!

Mi piaceva spiegare gli argomenti, spingere i ragazzi a ragionare.

Vedevo che il loro approccio allo studio era lo stesso che avevo avuto io, e che ora, con l’esperienza, sapevo essere sbagliato.


Grazie a questo lavoro ho avuto anche la possibilità di parlare con molti genitori. Mi sono accorta di quanto potessero essere frustati e preoccupati nel vedere i propri figli lottare con lo studio senza riuscire a capire come aiutarli.


Mi è capitato spesso di sentire frasi come: "Non so come aiutarlo, vedo che si impegna, ma non riesce a raggiungere la sufficienza e si demoralizza sempre di più" oppure "Vorrei avere più tempo per aiutarlo, ma non ce la faccio".

Ed in sottofondo percepivo da parte di questi poveri genitori come un senso di colpa e di impotenza.


Purtroppo, il tempo che mi metteva a disposizione l’associazione per seguire i ragazzi non era molto, ed ero ancora troppo inesperta per sapere come aiutarli al meglio. Li vedevo migliorare, ma sapevo che si poteva fare di più.

La fine delle mie energie

Nel frattempo, ho conseguito la laurea magistrale e pochi mesi dopo mi sono trasferita per lavoro.


È stato allora che è iniziata un’altra fase.

Dopo un anno nella ricerca, ho vinto il concorso per entrare nel Dottorato di Ricerca in Nanotecnologie.

Se non lo sai, il Dottorato di Ricerca è il massimo livello di istruzione e il titolo più alto che si possa ottenere nel campo accademico…ed è noto a tutti quelli del campo come il percorso più stressante e difficile che ci possa essere in ambito accademico.
E ora lo posso confermare anche io!

Gli anni del dottorato sono stati estenuanti.

Nessuno ti prepara veramente per questa esperienza... si sa che è difficile, basta dare un’occhiata ai meme a riguardo, ma finché non ci sei dentro, non puoi capire davvero quanto sia sfidante.


Fortunatamente, tutto il bagaglio di conoscenze e la strategia di studio che avevo sviluppato mi sono stati di enorme aiuto per portare avanti sia il lavoro che lo studio.

Il dottorato prevede, infatti, non solo di condurre un progetto di ricerca, ma anche di affrontare ulteriori esami, e il carico di lavoro è davvero pesante.


Tutte le sfide che avevo affrontato, la tenacia e la voglia di farcela, coltivate fin dalle superiori, sono state determinanti per superare anche questa nuova sfida.

Io vestita con giacca nera e camicia nera con fiori arancio e bianco. Indosso il tocco perché mi hanno proclamata dottore di ricerca in nanotecnologie.

Devo essere sincera, però: non è stato un percorso senza conseguenze. Non a livello di risultati, perché ho conquistato il Dottorato con Lode, ma a livello psicologico.


Passati alcuni giorni dalla discussione della tesi, le forze hanno iniziato a venire meno. Negli ultimi anni, avevo dato fondo a tutte le mie energie e mi sentivo completamente prosciugata.


Avevo raggiunto tutti gli obiettivi che mi ero prefissata, conquistato ogni titolo che potevo ottenere a livello accademico... ma, alla fine, sfinita com'ero, mi sono ritrovata a dover riflettere sul mio futuro.


Sentivo che mi mancava qualcosa, che quello non era più il posto che mi apparteneva. Non ero più felice in quel contesto.

Non mi sono arresa...

Cosa fare?


Beh, mi sono guardata attorno, cercando di capire cosa avrei voluto davvero fare e dove avrei potuto dare il mio contributo per aiutare gli altri.

E mi sono ricordata di quegli anni in cui facevo tutoraggio per i ragazzi. Mi è tornato in mente quanto mi piacesse spiegare, far capire e far conoscere le cose.

Quello che mi faceva davvero star bene era sapere che durante quelle ore con i ragazzi stavo davvero dando una mano, rendendo il loro percorso più tranquillo e semplice.


Non intendo dire che volevo diventare un'eroina, né proteggere i ragazzi da ogni difficoltà, ma dar loro gli strumenti giusti per affrontare le sfide con una preparazione solida.


Mi sono resa conto che ciò di cui i ragazzi hanno davvero bisogno...

Non sono semplici ripetizioni, materia per materia

I ragazzi hanno bisogno di strumenti efficaci che li aiutino a diventare autonomi. Strumenti che li preparino a gestire le sfide da soli, con fiducia e consapevolezza.


Ma quegli strumenti potevo darglieli io! A quel tempo avevo passato 21 anni su 32 (senza contare altri 2 anni di ricerca), quindi più della metà della mia vita, a studiare.


Avevo superato sfide pratiche trovando le tecniche più efficaci per studiare, organizzando le mie giornate in modo da essere sempre pronta per i test…e avevo superato anche molte sfide psicologiche: la paura degli errori e dei giudizi, l’ansia da prestazione, la sensazione di non essere capace, lo stress dello studio e del dottorato, ero arrivata a toccare il fondo delle mie energie (sono anche finita in ospedale) per poi risalire…quindi ho pensato: "io davvero posso aiutare i ragazzi sia da un punto di vista pratico attraverso la mia strategia di studio, ma anche da un punto di vista emotivo attraverso le mie esperienze".


…e tutto questo lo posso fare per dargli una marcia in più e degli strumenti per affrontare il loro percorso scolastico con quella famosa bilancia che pende verso il piacere e la consapevolezza dell’importanza dell’apprendimento. Perché quando si riesce a bilanciare il piacere con la consapevolezza, lo studio diventa non solo più efficace, ma anche più sostenibile e appagante.


Così, ho iniziato ad aiutare innanzitutto gli studenti universitari, ma presto mi sono resa conto che intervenire quando gli studenti sono già all'università è come chiudere il rubinetto di casa e continuare a perdere acqua da un tubo bucato.

Agivo troppo a valle del problema, dovevo invece tappare quei buchi prima, per fare in modo che il tutto funzionasse correttamente!

Così, gradualmente, ho iniziato a concentrarmi sempre di più sui ragazzi delle superiori e delle medie.

Io vestita con giacca nera e camicia nera con fiori arancio e bianco. Indosso il tocco perché mi hanno proclamata dottore di ricerca in nanotecnologie.

Negli anni le difficoltà dei ragazzi e dei genitori non erano cambiate

Mi sono accorta che, nonostante fossero passati anni da quando avevo fatto per la prima volta tutoraggio, le difficoltà dei ragazzi e dei genitori non erano cambiate.


Ho ritrovato genitori preoccupati e affranti per l’andamento scolastico e per il futuro dei loro figli.

Il malessere era palpabile, e a volte percepivo quella sensazione di rassegnazione che si trasformava in una richiesta quasi disperata:

Per favore Monica, fai qualcosa. Non mi interessa che prenda 8, basta che ne esca fuori in qualche modo…

E qui è avvenuta la grande svolta...

Si perchè ho capito che non era una questione solo di tecniche e strategie…era qualcosa di più profondo che si era insinuato nei ragazzi e nei genitori…iniziava come frustrazione, ma poi si trasformava proprio in rassegnazione…del tutto comprensibile visto le difficoltà che i genitori ed i ragazzi stavano incontrando.


Ma nel momento in cui entra in gioco la rassegnazione, ecco che pian piano prende il posto della speranza e della motivazione…e se iniziano a traballare queste due la frittata è quasi fatta.


A quel punto mi sono chiesta: cosa potevo fare davvero?


Io non sono una psicologa né psichiatra, avevo studiato un po’ il funzionamento del cervello dal punto di vista biologico all’università, ma dovevo saperne di più per poter dare una mano!

Ho iniziato a documentarmi sulla motivazione, intrinseca ed estrinseca, su come alimentarla con obiettivi sequenziali e raggiungibili…ma non era ancora l’angolatura giusta…allora ho iniziato a studiare l’età dell’adolescenza, cosa succede ai ragazzi durante quegli anni, cosa pensano e cosa provano, per potermi approcciare a loro nel modo più corretto possibile…cercare di entrare nei loro panni…questa è stata (ed è tuttora perchè continuo a formarmi) davvero una scoperta interessantissima che mi ha aperto gli occhi su un mondo completamente nuovo…


...però non era ancora abbastanza…perché era quella sensazione di rassegnazione che dovevo combattere

E ho trovato lui, IL LIBRO che mi mancava per collegare tutti i tasselli: “Mindset - the new psychology of success” della dottoressa Carol S. Dweck, nominata tra i ricercatori più importanti del mondo nei campi della personalità, della psicologia sociale e dello sviluppo.


Grazie alle sue ricerche, ho finalmente individuato il vero nodo su cui agire: aiutare i ragazzi a scrollarsi di dosso il mantello della rassegnazione, quel peso che li avvolge e li frena, e a indossare il vestito dell’impegno e della speranza.


E sai qual è la cosa più bella? Questo vestito non è fatto su misura solo per loro, ma anche per te, genitore.


Perché quando tuo figlio smetterà di sentirsi inadeguato e inizierà a credere nelle sue capacità, quando recupererà le insufficienze, ritroverà la fiducia in sé stesso e tornerà a casa da scuola col sorriso… allora anche tu sentirai quel peso sollevarsi.

Anche tu sarai più sereno.
Anche tu tornerai a sperare.

Quello che faccio ogni giorno con la mia Strategia di Studio

Io che sorrido felice perché finalmente faccio quello che mi piace.

Ed è proprio questo che faccio ogni giorno attraverso la mia Strategia di Studio.


Non si tratta solo di insegnare un modo efficace per studiare, ma di trasmettere un vero e proprio approccio allo studio e alla crescita personale.


Nel mio percorso, i ragazzi imparano strategie pratiche per organizzarsi, ragionare ed affrontare le verifiche con sicurezza.


Ma soprattutto, imparano a credere in sé stessi, a trasformare la paura dell’errore in un’opportunità di crescita e a capire che il loro valore non si misura con un voto.


E tu, genitore, non sei solo in questo percorso, il mio lavoro è anche per te: per darti la possibilità di vedere tuo figlio affrontare lo studio con serenità, tornare a casa soddisfatto e crescere con fiducia nelle sue capacità.

Niente scorciatoie miracolose, niente trucchi o magie… solo mindset, tecniche ed impegno: ciò che insegno ogni giorno ai ragazzi per affrontare lo studio (e non solo) con sicurezza e serenità.


Se tuo figlio sta vivendo un momento difficile con lo studio, non preoccuparti, non siete soli.
Scrivimi un messaggio compilando il form qui sotto: insieme troveremo una soluzione per aiutarlo a ritrovare serenità e successo.

Monica Mossenta - Strategie di Studio

Via G. Grandi 7, 33081, Aviano (PN)

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